Elviro Langella

LA CHIAVE ASTRONOMICA DELLA FONDAZIONE DI NEAPOLIS

“COL VENTO IN POPPA PER OGNI ROTTA”

A Renato Palmieri, compagno di un iter superiore.

Parte 2

Napoli da Villa Elena e Maria

Accolto con rara affabilità da Renato Palmieri, mi immergo nell’appassionante colloquio superando ogni timidezza. Come ci conoscessimo da sempre. Confidando nella sua tolleranza, mi consento qualche sfrontata illazione in un campo di conoscenze di calcolo astronomico per me inarrivabile. Senza scoraggiarmi m’inoltro temerariamente dentro il ginepraio di miriadi di dati matematici grondanti dalle fitte pagine dei suoi appunti di lavoro che gli hanno dato accesso alle originarie chiavi astronomiche della fondazione dell’antica Neapolis.
Poi, una volta sul terrazzo sullo sfondo di un paesaggio miracolosamente senza un velo di foschia, ecco delinearsi in forza dei puntuali chiarimenti forniti da Renato Palmieri, il punto esatto che inonda di luce le cime dei Lattari all’alba del solstizio d’inverno.
Il racconto invita ora ad un ascolto discreto e non in rispetto all’indubitabile dedizione del mio maestro ad una ricerca costata anni di paziente lavoro. E neanche per soggezione verso il suo indubitabile carisma. È il tono della voce che comunica da sola l’amorevole approccio al fuoco sacro della più autentica conoscenza disinteressata.
Come se d’un tratto il grande desiderio d’incontrare quasi fisicamente per pura magia, i padri fondatori della nostra amata città finalmente consentisse di collassare il tempo riconciliandoci con il mondo di valori che li ispirava un tempo. Valori rimossi per un colpevole oblio dalla cultura imperante nel nostro tempo. E con essi la luminosa Idea che emana ora solo un debole riflesso, sepolta com’è nell’intrico labirintico di una topografia caotica.
E nelle luci del meriggio, per un attimo sono assalito da un’inconfessabile smania infantile. La fantasia di trasvolare senza gravità all’opposto, irragiungibile orizzonte, sulle cime del monte Faito, che in quello stesso istante dal suo canto, sta lì affacciato sui profili del Vesuvio, del golfo e del Colle Sant’Elmo, esattamente fino all’estremo crinale dove io e il mio mentore ci ritroviamo ora, immersi nel nostro trip.

Di là dalle nuvole, in quel punto impercettibile dissimulato tra le creste dei Lattari, come un viandante perso nello sconfinato mare di nebbia dei quadri di un pittore romantico, o piuttosto, di un personaggio folgorato da incontenibile estasi contemplativa, uscito dalle pagine di William Hamilton; un viaggiatore sulle orme del Grand Tour, alle stregua di Goethe, spettatore incredulo del mistero della genesi del mondo che si rinnova ad ogni ora nella tavolozza vivente dei luminosi cieli d'Italia.
Rivedere affiorare la nerezza del Vesuvio, muto asteroide sospeso nell'infinito, dentro sempre vivo. Diradate le nebbie, inseguire il rilievo dei nostri monti che proietta a valle la propria ombra, inondando delle calde nuance dell'aurora al solstizio d'inverno.
Lo strale solare, in virtù del calcolatissimo angolo di incidenza, sarebbe puntualmente tornato in quell'ora a ridisegnare le trame, le scritture tessute dall'uomo nel paesaggio affacciato sul golfo.
Chissà se a tanta distanza, mi sarebbe apparso altrettanto nitidamente il profilo luccicante di quella spina che ancor oggi disegna le vie dell'antica contrada di Forcella. Ove, in quella biforcazione, ancora permane l’impronta dell'inconfondibile insegna forgiata a similitudine della Lettera sacra di Pitagora. Quella “Y” in cui sopravvive la memoria dell'armonia inderogabile contenuta dentro l'aurea ripartizione cara al filosofo di Crotone. Il geniale spartito che guidò da principio, i nostri illuminati padri nel giorno dell'oracolo. Sigillo inequivocabile del Grande Architetto dell'Universo a testimonianza dei suoi benevoli auspici.