Il Viaggio in Sogno - Presentezione del Libro - Angelika

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Antonio Tamburello

Quella notte il rumore del mare si sentiva da Ribera e questa cosa non era mai successa! La notte tra il 6 ed i 7 febbraio, durante quel vero e proprio uragano, un villaggio nei pressi di Messina fu spazzato dalla furia delle onde, mentre nel Mediterraneo affondarono tre navi. A Porto Empedocle, un enorme bastimento quasi a cercare riparo dalle onde furiose, rompeva gli ormeggi e si arrampicava sopra una delle banchine del porto. E poi c’era un tre alberi da carico, l’Angelika, che da Marsiglia, dove aveva effettuato lo stivaggio di mattoni e tegole, stava rientrando a Costantinopoli, per vendere quella merce. Il veliero avrebbe infine fatto rotta verso il porto di Chios, in Grecia, per raggiungere dopo un breve tragitto, l’isoletta di Inousses, dove ad attendere i marinai, ci sarebbero state tre mogli, tre mamme. Tre donne che quella notte di febbraio diventarono tre vedove. Prova ad immaginare, anche se profana di cose di mare, cosa succedeva a bordo di quel veliero, appesantito da un carico di tegole e mattoni e reso ingovernabile dal vento che gli aveva lacerato le vele e fracassato gli alberi; prova a immaginare la disperazione dei marinai che nel buio più assoluto e nel freddo di una notte di febbraio, fradici d’acqua, urlando per cercare di vincere le urla del vento, si affannavano inutilmente, ad alleggerire la nave, stracarica della merce più pesante che si possa pensare. O forse no, non urlavano, ma pregavano rassegnati e silenziosi, per cercare di percepire un tetro segnale, il rumore sinistro delle onde che si infrangevano sulla spiaggia, che in mancanza di fari, rappresentava l’unica indicazione dell’avvicinarsi della costa. Quel segnale terribile, era l’avvertimento che era giunto l’epilogo del loro viaggio e della loro vita.

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Chissà quali pensieri si accalcavano nella mente del giovanissimo di Nikolas Lemos, che non era un mozzo analfabeta o un rude marinaio, ma uno studente di 17 anni, che con quei viaggi, sosteneva i suoi studi; forse pensava che non avrebbe mai visto realizzare quel suo sogno o forse i suoi pensieri andavano ad una ragazza che aveva conosciuto a Marsiglia… chissà. Mi parlò del giovane Nikolas, con le lacrime agli occhi, una vecchia donna di Inousses, Stella Kolaki (nella foto), nipote del maturo ed esperto Capitan Nikolas dell’Angelika, morto con i suoi fratelli, i suoi figli e i suoi nipoti e non certamente per colpa sua, cioè del malgoverno della nave, ma per colpa di un mare che mai come quella notte, ostentò tanta potenza, fomentato dal vento. Ma Stella Kolaki mi parlò dell’altra concomitante tragedia: sua madre e le due sorelle, vedove dell’Angelika, morirono nell’arco di tre anni praticamente di stenti, dato che per una famiglia la perdita del marito e dei figli maschi, rappresentava la mancanza di qualunque fonte di sostegno. Sicuramente a questo pensava il capitano del veliero, oppresso di responsabilità che non aveva, mentre impotente avvertiva sempre più intenso, il fragore dei flutti che raggiungevano la spiaggia. Quindi l’urto violentissimo dell’Angelika contro gli scogli del Corvo, chiamati la petra di lu Signuri, il rumore del fasciame che si fracassa e il gelido contatto con il mare e con la morte. Assieme ai mattoni, il mare restituì, misera consolazione, solo tre dei dieci marinai a cui aveva rubato la vita: due in cui si riconobbero Costantino e Diamantes, l’altro rimasto per sempre senza identità.

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Jerome : Ciò che più di tutto emozionava Angelika era la storia di Tamburello. Sì perché è da lui che appresi la tragedia. Dalla mattina successiva al naufragio, infatti, e per diversi mesi, il piccolo Tamburello, che giusto quel 7 febbraio compiva 7 anni, si recò con suo padre e con un mulo nella spiaggia del Corvo, a raccogliere i mattoni che il mare restituiva poco a poco: li portavano a Ribera, per venderli a 100 pezzi per un gramo guadagno e ingannare almeno un po’ la fame. Quando Tamburello, che portava un fardello di anni ancor più gravoso dei miei oggi, finì di raccontarmi con straordinaria lucidità quegli eventi lontani, stringeva un mattone miracolosamente recuperato dal mare assieme a due enormi ancore, quasi un secolo dopo, da un appassionato studioso dei misteriosi tesori custoditi dagli abissi. Quel modestissimo mattone era per Tamburello il vero tesoro, reliquia della sua infanzia e rivolgendosi ai suoi familiari, raccomandò loro, che quando sarebbe arrivato il momento, avrebbe voluto accanto a lui proprio quel mattone, nella sua tomba. Congedandosi da noialtri, sono certo, avrà potuto incontrare quei marinai venuti da una terra ch’egli non conobbe mai, e che inconsapevolmente, con la loro morte, gli regalarono un po’ di agio. “Il mare unisce i popoli che divide”. 1

1:La descrizione tratta da 100 anni fa l’Angelika è dell’archeologo subacqueo Domenico Macaluso. A lui si devono il ritrovamento dell’Angelika e molte altre straordinarie scoperte nel Canale di Sicilia.
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