Omaggio a Fulvio Wetzl - Mineurs

Locandina Mineurs

MINEURS di Valeria Vaiano e Fulvio Wetzl

regia di Fulvio Wetzl

con Franco Nero, Valeria Vaiano
e
Antonino Iuorio, Cosimo Fusco, Ulderico Pesce, Dree Stemans
musiche di Adamo
fotografia Ugo Lo Pinto, scenografia Antonio Farina
costumi Metella Raboni, montaggio Antonio Siciliano

Il film Mineurs è il coronamento di un percorso. Nasce in Basilicata, dopo un’ attenta ricognizione socioantropologica, da noi condotta per oltre un anno.

Il doppio significato della parola in francese minori – minatori è forse il punto di partenza da cui è scaturita l’idea di raccontare la storia dell’emigrazione italiana nelle miniere in Belgio, per una volta prescindendo da Marcinelle (pur in concomitanza con il cinquantenario della tragedia), ma privilegiando l’ottica dei bambini protagonisti.

La trama

Quattro bambini nel passaggio delicato da creature a guaglioni, visti nella vita di tutti i giorni in Lucania nel 1961, in una sorta di paese ideale nato scenograficamente unendo insieme strade, piazze, scorci, chiese, monumenti degli undici comuni coinvolti nel progetto. E cosi i nostri quattro si aggirano, giocano, vanno a scuola passando con non- chalance dalla strada principale di Rapolla, alla fontana Cavallina di Genzano, dalla scalinata della parrocchiale di San Fele, all’interno del santuario di Pierno, dai vicoli di Oppido, Ruoti, Cancellara alle botteghe di Acerenza, dalla scuola di Rionero al lavatoio di Atella, dallo studio professionale di un medico di Bella a una casa contadina di Satriano, fino al ponte di Annibale di Muro Lucano. E in questi loro percorsi usano come mezzo di trasporto quello più rapido e magico che solo il cinema permette, lo stacco o la dissolvenza.

Franco Nero e Valeria Vaiano

I quattro protagonisti sono colti nella vita di tutti i giorni, in cui la strada è lo scenario naturale, spesso condiviso con gli animali, cani, gatti, cavalli. Giocano precipitando giù a rotta di collo per i vicoli con le carrozze, o disputandosi con i cani, per giocarci a pallone un grande osso di castrato. A nascondino nella piazza della Cattedrale di Acerenza o facendo il bagno nella fontana Cavallina.

Armando ed Egidio sono di estrazione popolare, Armando usa addirittura il dialetto con orgogliosa ostentazione. Mario è invece il figlio del medico condotto del paese, mentre Vito è figlio di Giovanni, scultore e restauratore miscredente. Tra i bambini si creano alleanze e amicizie, come quella singolare tra Armando e Mario, interclassista, siglata dall’originale accordo “io ti imparo il dialetto” – “io ti insegno l’italiano”.

La classe a scuola è il punto dove tutti si ritrovano e il maestro Fernando è un vero buon maestro che educa alla coscienza etica, alla consapevolezza critica e storica, alla relatività, partendo dagli ambiti angusti dell’insegnamento tradizionale e continuamente dilatandoli con innesti innovativi e poetici. E’ lui che introduce la poesia di Leonardo Sinisgalli, Le monete rosse, che ai bambini piace molto “perché parla di cose che conoscono, i giochi” e “i giochi, come le poesie circolano dappertutto e tutti li capiscono” (giocare-recitare-suonare in tutte le lingue tranne che in italiano sono sintetizzati da una sola parola spielen – jouer – play).

Sinisgalli, grande poeta-scienziato lucano (allievo di Ungaretti, e nel gruppo dei ragazzi di via Panisperna di Fermi) ha innervato tutta la prima parte del film. Oltre a Le monete rosse, c’è l’indimenticabile figura del sagrestano Domenico (cui dà pregnanza la recitazione e la fisicità di Antonino Iuorio), ci sono gli Antichi giuochi (“i bambini dei nostri paesi, giuocano sul sagrato, con l’osso secco del castrato”), le contine. Ma soprattutto la struttura stessa del racconto della parte lucana (“quell’anno di scuola, di chiesa, di cortile”) è debitrice nei confronti di Sinisgalli. Intessuti insieme alla trama poetica, prendono vita racconti, il “miracolo” di Vito che tinge l’acqua dell’acquasantiera con la tintura del sarto, il “sogno” di Violetta che vuole mandare al marito defunto il necessario per la barba e i sigari cubani, usando come corriere la bara di una conoscente. Per tutta la prima parte incombe, nei discorsi e nelle situazioni, l’immanenza del Belgio. Ci sono le telefonate al posto pubblico (che duravano intere giornate), ci sono gli strascichi delle malattie professionali contratte in Belgio (la silicosi), che culminerà nella morte improvvisa di zio Salvatore; ci sono le lezioni di storia del maestro Fernando (Garibaldi era emigrante). Oltre all’immanenza della povertà, strettamente correlata alla necessità di emigrazione. E attraverso questi racconti si delinea un quadro attendibile di una comunità del sud, negli anni ‘50-’60, scandita dalle processioni, dalle partenze, dalle morti.

Mineurs

Le musiche, necessario trait d’union tra scena e scena, tra situazioni apparentemente inconciliabili come la Lucania e il Limburg, sono per larga parte di Salvatore Adamo, il cantautore italo-belga, popolarissimo negli anni ‘60-‘70, che ha spontaneamente aderito al film regalando due canzoni meravigliose, Un Air en Fa Mineur e Terra Mia (la prima inedita in Italia, la seconda un inedito assoluto), che riempiono di struggente malinconia e di senso di ineluttabilità tutta la storia, testimonianze come sono della nostalgia e del senso di separazione e di abbandono, vissuti in prima persona da Adamo stesso, come sappiamo figlio di minatore, emigrato in Belgio proprio in quegli anni. Il viaggio in treno verso il Belgio, con la necessaria sosta per lo smistamento nei dormitori sotterranei della stazione centrale di Milano e le visite mediche di controllo, funge da intermezzo. Dei quattro bambini solo Armando ed Egidio partono. Armando con la madre Vitina (Valeria Vaiano), va a ricongiungersi ai fratelli e al padre (Franco Nero) che già lavorano in miniera da due anni. Egidio invece parte con l’intera famiglia, suo padre Rocco (Cosimo Fusco) il sarto, sua madre Amelia e la sorellina Ilaria. In viaggio con le due famiglie vengono portate anche due statue, un crocefisso e una madonna, realizzate e regalate da mastro Giovanni, il padre di Vito. La portata simbolica del viaggio di queste statue destinate alle processioni italiane in Belgio, crea un sottile trait-d’union tra Lucania e Fiandre, dimostrando la capacità delle comunità italiane di ricreare in qualsiasi parte del mondo le coordinate di identità e appartenenza. La descrizione del viaggio e l’intera parte fiamminga del film sono nate sulla scorta delle testimonianze raccolte dalla giornalista Maria Laura Franciosi nel prezioso volume …per un sacco di carbone. A queste si sono aggiunte gli altrettanto importanti racconti di vita vissuta di Michele, Melina, Carmine e Alessandro Doino di Bella, di Laura Covella di San Fele, degli Ottati di Satriano, di Pietro Cristiano di San Fele, Angelo Gillio di Oppido e altre numerose testimonianze, raccolte in un anno di documentazione e sopralluoghi.

Mineurs

In Belgio oltre al punto di vista dei due protagonisti bambini, Armando ed Egidio, prende corpo anche il mondo degli adulti. Vitina, madre di Armando, arrivando in Belgio trova una situazione abitativa sconfortante, il marito Michele (Franco Nero) e i figli Vincenzo e Antonio, vivono ancora in una baracca fatiscente, dormono in tre in un materasso, si fanno sfruttare e sfottere sul lavoro. Vitina insieme ad Amelia, moglie del sarto, interverrà fattivamente per ottenere case e trattamento adeguati, incarnando nel film quello che effettivamente è stato l’apporto fondamentale delle donne italiane per il miglioramento sociale degli emigranti in Belgio. I bambini a loro volta hanno i problemi di integrazione immaginabili, ma attraverso il gioco riescono ad entrare in contatto con un universo apparentemente ostile, ma sostanzialmente simile nelle dinamiche, sia esistenziali che ludiche. La scuola fiamminga è ostica, ma una maestra illuminata trova un modo semplice ma efficace per “far vestire i panni degli italiani” agli spocchiosetti bambini fiamminghi. Impone ad uno di loro la lettura di un giornale italiano, con tutto quello che questo comporta: ribaltamento di ruoli e conseguente accettazione della diversità. Al “gioco di coraggio” delle carrozze i bambini fiamminghi ne sostituiscono uno non dissimile: scendere (glissades) sulle colline di cumuli di carbone di scarto ( il terril le uniche colline del plat pays Belgio) seduti su coperchi, padelle, pezzi di legno. Anche la portata simbolica di questi giochi, sia le carrozze che le glissades, è evidente. Sono come riti di iniziazione all’età adulta, come il famoso rituale dei ragazzi al compimento del 14esimo anno, nelle isole Samoa, di fare il jumping dalla palma con i piedi legati.

L’idea di riprodurre l’antico gioco delle glissades, è nata vedendo il meraviglioso film di Paul Meyer Deja s’envole le fleur maigre, un film girato nel 1960 nel Borinage, sulla vita dei bambini della comunità italiana dei minatori. La falsariga della parte fiamminga del film è senz’altro quel prezioso documento, che citiamo direttamente nella scena finale di Mineurs, dove i nostri due guaglioni vanno con le loro fidanzatine fiamminghe, proprio a vedere quel film. E Armando vedendosi come in uno specchio sullo schermo, rifletterà (come già Elsa Morante ne La storia) che “si può fare un film su ogni cosa, anche su di noi”, parafrasando il maestro Fernando che a proposito de Le monete rosse, aveva già detto che “si può fare poesia su qualsiasi cosa, anche su un gioco di guaglioni”. Armando insisterà con il padre per scendere almeno una volta giù in miniera, altro percorso iniziatico “di coraggio”, in un ascensore che affonda per più di mille metri sottoterra. E questo ci darà la possibilità di vedere attraverso i suoi occhi il “mondo alla rovescia” della miniera, invaso dal rumore, dalla polvere, in cui migliaia di uomini stavano 8 ma a volta anche 16 ore di seguito “come i vermi nella terra, senza sapere più quali sono le mani e quali i piedi”.

Mineurs

Il Cast

Un discorso a parte merita il casting. Abbiamo voluto mischiare nel film attori professionisti con attori “presi dalla scuola”. A fianco a grandi professionisti come Franco Nero (che “si è messo con grande umiltà al servizio di un film che ritiene molto importante”), Antonino Iuorio e ai lucani Cosimo Fusco e Ulderico Pesce, abbiamo voluto i lucani Giuseppe Di Palma, Agostino Martucci, Nicola Pugliese, Leonardo Lo Vaglio che già hanno lavorato con noi in precedenti mediometraggi e docudrama (Darsi alla macchia, 1806 dalla terra alla città, Scolari), e dare la possibilità di un esordio ad altri come Chiara Lostaglio, Cristiana di Trani, Donato Telesca, Canio Giordano, Titti Lanzetta, Roberto Pignataro, e al roveretano Enrico Cattani. E le compagnie teatrali amatoriali di Satriano (tra cui spicca l’adorabile Giulietta di Giulia Camera), Rapolla, Atella. Senza parlare della nutritissima compagine di filodrammatici in Belgio che hanno con grande serietà interpretato la miriade di piccoli ruoli di cui è intessuto il film (nel film ci sono 120 ruoli parlanti…) Ma la vera ricchezza di questo film sono questo gruppo di bambini straordinari: Walter Golia, Tiziano Murano e Rossana Santoro di Bella, Federico Materi di Potenza, Tommaso De Luca di Tito. Senza il loro stupore e la loro dedizione, senza la loro capacità istintiva di indossare i personaggi e il film, condividendone l’ottica e comprendendone l’intima aderenza alla propria visione ludica, senza il loro adagiarsi inconsapevole e quindi forse più profondo al ritmo interiore della storia, questo film, questo caleidoscopio di facce ed espressioni, questo kolossal in miniatura di sentimenti e memoria condivisa, non esisterebbe.

Valeria Vaino - Firma Fulvio Wetzl - Firma

Mappa | Guida alla Navigazione | Contatti