La favola alchemica di Raimondo di Sangro

Elviro Langella, La favola alchemica di Raimondo di Sangro

da Il Mattino 19 Maggio 1984
IL TEMPIO DEI SEGNI INEFFABILI

La Cappella Sansevero di Napoli testimonia dell'enigmatica personalità di Don Raimondo di Sangro, il Principe che a metà del Settecento ne ideò e diresse la ricostruzione e collocò la serie di sculture allegoriche appositamente commissionate. Se nell'edificio entrasse un greco antico resterebbe turbato scorgendo, a sinistra, il giovane cinto da pelle di leone che rappresenta il Decoro. La statua ha struttura e linee classiche, quasi pervase da una serenità apollinea; il "profano" di oggi potrebbe cogliervi l'invito ad un tranquillo e austero itinerario contemplativo tra le figure schierate più innanzi. Il nostro greco, però, noterebbe che al forte giovane manca un calzare, lo avrà smarrito: pauroso inizio di un viaggio recente, e forse non concluso in territori d'oltretomba inaccessibili ai comuni viventi. Nell'antichità vennero immaginiati come monosandalos Giasone e Dioniso, entrambi protagonisti di miti tenebrosi, tragici. Il particolare è rilevato e commentato da Elviro Langella nel recente volume La favola alchemica di Raimondo di Sangro e può essere il primo inquietante segnale d'un percorso lungo il quale ai simboli cristiani s'intrecciano fittamente quelli più segreti, iniziatici.

Si sapeva che il Principe fu seguace di dottrine rosacrociane, praticò l'alchimia, fu per un periodo affiliato alla massoneria, e che nel tempio di famiglia volle trasfondere il suo eccentrico sapere. Nella Cappella s'erano notati i riferimenti al rituale massonico, s'erano supposti arcani rapporti matematici nella disposizione architettonica, e anche la celebre statua del Cristo velato, eseguita dal Sammartino, era stata guardata, al di là della figurazione religiosa, come metafora della specifica rinascita spirituale perseguita dai "liberi muratori". Ora Langella (33 anni, pittore, insegnante di disegno e storia dell'arte) propone una più approfondita lettura del complesso artistico, esaminandolo come "universo iconico" che del di Sangro esprimerebbe "il vissuto e i valori", i suoi paradigmi culturali e quelli estetici insieme col ricordo di eventi emotivi decisivi per la sua esistenza. Langella rintraccia una sostanziale analogia tra la pratica artistica e quella alchemica; in entrambi i casi il fine è di trasformare le materie vili in materie nobili, il piombo in oro, i colori e le pietre in linguaggio dell'anima e dei miti. Da questa concezione che no fu ignota agli artisti del passato e sembra rispuntare sui versanti più misticheggianti delle moderne avanguardie) il Principe sarebbe stato più o meno consciamente guidato nel progettare la Cappella, la quale così costituirebbe la messinscena d'un dramma interiore unitario pur nella varietà degli elementi estetici e psicologici che vi confluirono.

È compito arduo rinvenire la "formula" d'una simile operazione che fu ispirata da discipline misteriose e da situazioni personali sfumanti tra ambiguità e leggende. Langella utilizza vari ed eterogenei strumenti: i modelli interpretativi forniti da Fulcanelli in Il mistero delle cattedrali e Le dimore filosofali (entrambe opere ben note ai cultori di esoterismo), le teorie della percezione visiva di Arnheim, le proposte dell'Iconologia di Panofsky, la psicologia analitica di Jung, le ricerche sul mito di Kerènyi. ne derivano pagine estremamente dense, nelle quali non tutti i passaggi e gli incroci sono egualmente convincenti, ma che riescono a gettare nuove e suggestive luci sul loro oggetto.

Cristo Velato

Del giovane monosandalos posto accanto all'ingresso s'indicano per esempio, i riferimenti alle più trasparenti convenzioni allegoriche - la pelle di leone e la colonna mozza come emblemi della forza - e via via i segni di più occule relazioni con miti antichi, con un ritratto su rame del Principe eseguito dall'Amalfi, con un'avventura di iniziazione rituale qui rappresentata in termini ideali. Analisi anche più complesse vengono dedicate alle allegorie della Liberalità e dell'Educazione, alla Sincerità che porge con gentilezza un cuore, alla Soavità del Giogo Matrimoniale che tiene racchiusi due cuori in una sola mano, allo Zelo della Religione in cui un vecchio regge una lampadfa di verità, al Dominio di Se Stessi con un leone domato alla catena, alla Pudicizia coperta di rose, al Disinganno in cui un genietto alato aiuta l'uomo a liberarsi da una fitta rete, al Cristo velato. Formano un utile corredo illustrativo le tavole grafiche di Francesco Pepe e le foto di Umberto Santamaria Amato.

In ogni figura s'individuano tratti dell'iconografia più usuale, i possibili rimandi alla biografia del di Sangro, i simboli che segnano progressivamente una via d'accostamento al "fuoco filosofico", l'emergere d'una topografia dell'immaginario che ha affinità con la Commedia dantesca e delinea una visione alchemica.

Salvo Vitrano

Mappa | Guida alla Navigazione | Contatti